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Chiesa Santa Maria di Mili


Il Cenobio di Santa Maria in fluvio de Mili, comunemente conosciuto semplicemente come Chiesa Normanna o Santa Maria di Mili, è un complesso abbaziale del XI secolo sito nella frazione di Mili San Pietro, nel comune di Messina. Il plesso monastico è composto dalla Chiesa, risalente al 1091, e all’annesso Monastero la cui attuale struttura risale a epoche successive.

Storia

Nonostante siano stati effettuati pochi studi a riguardo sembra molti storici propendano per confermare una preesistenza di origine bizantina sul luogo ove sorge, oggi, la chiesa di epoca normanna. Chi sostiene questa possibilità muove dallo studio del codice Vat. Gr. 2020, copiato a Capua dal monaco Ciriaco sul finire del X secolo:

“Il presente libro di S. Massimo è stato scritto dalla mano di Ciriaco, cattivo monaco di Mili e misero presbitero. È stato terminato il giorno 25 del mese di gennaio, di domenica, nell’ora ottava. Mi è assai necessario che coloro che leggono questo libro chiedano che il signore si ricordi di me con pietà, e che mi guardi con misericordia nel giorno del giudizio, e così ottenga la remissione dei peccati per le preghiere dei nostri Santi. Amen. Così sia, o Signore Iddio”

È molto probabile che il monaco Ciriaco, vissuto a Mili, sia fuggito in seguito a una delle tante incursioni saracene verso la Calabria e poi la Campania che erano ancora sotto in controllo imperiale, oppure verso Rometta (fino al 962 in mano bizantina). Non deve sorprendere la presenza di cenobi di epoca romea , soprattutto nella zona ionica della Sicilia, la più sensibile all’elemento greco. I cenobi di questo tipo possono essere sorti in due periodi, o quando la Sicilia e l’Italia ripassarono sotto controllo imperiale oppure nel VII, quando non pochi furono i monaci che scapparono da Costantinopoli per fuggire alle persecuzioni del periodo iconoclasta. Tuttavia oltre queste ipotesi, circa la preesistenza bizantina, non è possibile andare. Ma nell’atto di fondazione del conte Ruggero, nel 1091, sembra dare indicazioni in tal senso:

“Inoltre ho donato a questi, con il mio sigillo, un luogo sufficiente, cioè monti, valli, campi, alberi da frutto, che ho così delimitato: da una grande via attraverso la quale scende il fiume Larderia fino ai piedi del gran Monte e alla pietra rossa e all’antica chiesa e al fiume Larderia dove abbiamo cominciato”

Oltre al riferimento a una chiesa preesistente, senz’altro di epoca bizantina, Ruggero fa riferimento a un mulino e a vecchi proprietari che risedevano nella zona, a testimonianza di una comunità che già viveva nella zona. L’arrivo dei Normanni, popolo del Nord, provenienti dalla Normandia (ma prima ancora dalla penisola Scandinava) fu un vero spartiacque per l’Europa in cui si ritrovarono enormi conquiste da governare. La Sicilia, la cui conquista iniziò nel 1061, fu data in concessione dal papato, ma Ruggero e i suoi soldati non avevano senz’altro esperienze di governo, si predilesse, quindi, una politica di tolleranza nei confronti delle diverse fedi religiose e dei diversi popoli (la prima monetazione derivava direttamente da quella araba usata in Sicilia). Dando maggiore importanza alla religione cristiana, i nuovi governanti si resero subito conto che a livello locale i monasteri potevano essere un buon modo per controllare un territorio vasto. In questa politica di rafforzamento della Contea, che sotto il figlio di Ruggero, diventerà Regno, s’inserisce il cenobio di Mili. Già leggendo l’atto di fondazione del monastero si intuisce l’importanza che Ruggero diede all’abbazia, oltre agli immensi che l’abate si trovò a controllare, quest’ultimo si trovava a dipendere solo dal sovrano, non doveva alcun dovere verso altre autorità locali o ecclesiastiche, fino ad arrivare alla sepoltura del figlio del conte, Giordano.

“Ho donato questi luoghi su annotati e le giurisdizioni di essi al predetto Abate, perché li tenfa, li possegga e abbia potestà su di essi, sia lui che i futuri Abati; e nessuno si opponga, turbi o arrechi molestia o tolga una giurisdizione di tal fatta, ma la conservi stabile e immutabile fino alla fine del mondo. Inoltre ammonisco Arcivescovi, i Vescovi e tutti gli Ecclesiastici perché non portino via alcunché da questo monastero, né chiedano un tributo, com’è usanza, alle altre Chiese. Ma permettano che il monastero sia libero e immune, escluso quel suolo che fu ordinato dal Santo Padre Urbano e da me.”

Quindi, entro i confini che furono stabiliti da Ruggero, l’abate (il primo igumeno fu Michele) esercitava piena giurisdizione civile ed ecclesiastica. Tuttavia il privilegio dell’esenzione di imposte o tributi, non esentava i monaci dal dovere dell’accoglienza (da sempre sacra nella cultura greca, dominante nell’area orientale della Sicilia) e del rispetto nei confronti degli ecclesiastici e dello stesso Conte Ruggero. Quando Ruggero II istituì l’archimanditrato del S.S. Salvatore, tra i monasteri che rientrarono nella sua orbita, quello di Mili non fu inserito e nella prima metà del XV secolo, al titolo di abate si affiancò anche quello di barone. In tutte queste vicende, importante, risultò essere l’amalgamarsi di elemento greco e latino, e ciò funzionò fino a quando il monastero si trovò a dover pagare, alla Santa Sede, la tassa pro communibus servitiis, per un totale di ottanta fiorini annui, a Messina, la seconda quota dopo l’archimadritrato. Oltre a questa circostanza l’introduzione del regime in commenda fu l’inizio del declino del monastero. Il regime in commenda prevedeva la scelta di abati di rito latino al di fuori dell’ordine monastico, questi si trovavano a governare da fuori il cenobio, la conseguenza è ovvia, l’ignoranza sullo stato in cui versavano le realtà che si trovavano a governare provocò il totale declino di molti cenobi di matrice greca, e quello di Mili non face eccezione. I secoli successivi furono segnati da un’inesorabile declino che si concluse nel 1866, con l’emanazione delle leggi di liquidazione dell’asse ecclesiastico e la soppressione delle corporazioni religiose, il complesso monastico fu incorporato dallo Stato Italiano, e poi venduto ai privati, in mano del Ministero dell’Interno (Fondo Edifici di Culto) rimase solo la Chiesa.

“tutta l’abbazia, con gli annessi terreni, viene spezzettata in diverse particelle catastali per essere adibita a stalla, abitazione, deposito di attrezzi e prodotti agricoli…. Solo la Chiesa, rimasta in possesso del Demanio dello Stato come bene architettonico, venne posta sotto la giurisdizione della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina”


A partire dagli anni ’70 del ‘900 il CTG LAG “Proteggiamo la Natura” di Mili San Pietro si è interessato alla riqualificazione dell’area, negli anni ’10 del 2000, al CTG LAG si sono affiancate le associazioni: Ionio Messina Sud, Giosef e Piattaforma Creativa, dando vita a diverse iniziative che accendessero i riflettori sul bene storico più importante della periferia sud di Messina. Nel 2011, su proposta delle associazioni CTG LAG e Ionio Messina Sud, la chiesa ha ricevuto l’attestato di Meraviglia Italiana.

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Architettura

 

L'abside della chiesa.

In alto, su di un tamburo ottagonale svetta la cupola principale.

Il primo elemento architettonico che si può ammirare appena scesi le scalette dalla strada provinciale è l’arco d’ingresso. Questo elemento presente due sovrapposizioni, la prima, più recente, risalente probabilmente all’inizio del ‘700, come tutte le mura perimetrali del cenobio. Si tratta di un arco a tutto sesto che presenta in alto l’emblema dei basiliani, la colonna con raggi di San Basilio.

A questo primo elemento in stile barocco, varcato l’ingresso, si può ancora ammirare l’arco di epoca normanna, in pietra lavica e alcune aggiunte di cemento, opera di “restauri” degli ultimi decenni. Varcata la soglia d’ingresso, oltre alle mura perimetrali con merlature decorative, si può ammirare, con i ciottoli della fiumara, alcune scritte “1700”, probabilmente la data di rifacimento del cortile e delle mura, e un’alfa e omega.

Il monastero, ricostruito e ampliato dal XVI secolo, a causa della sua divisione e vendita a fine ‘800 versa in gravi condizioni. Era il fulcro di tutte le attività monacali, oltre a essere un centro di cultura e economico, riferimento per tutta l’area.

La Chiesa è l’elemento più importante e anche quello meglio conservato, purtroppo non ci è pervenuto il campanile, crollato in seguito al terremoto del 1908. Nella facciata, prolungamento dell’originario tempietto, probabilmente risalente al 1511, risulta certamente non in linea con l’originario stile arabo normanno, è visibile un portale in conci di calcarenite, con architrave marmoreo a inquadratura retta, con mensoline laterali e lunetta semicircolare, stile molto frequente nelle architetture messinesi del XVI secolo. Le absidi sono sormontate da cupole lisce in stile arabo, poggianti su piccoli tamburi, queste si presentano in maniera molto diversa da come dovevano apparire in origine, sempre a causa di cattive scelte di restauro. Mentre il soffitto, prima del rifacimento del 1511, doveva essere più basso, esaltando maggiormente le cupole. Sulle pareti laterali e nell’abside, è visibile la decorazione a mattoni e pietra che formano lesene (elemento architettonico a fini decorativi) e archi ogivali ciechi incrociati nella cuspide.

Pur avendo tre abisdi, la Chiesa, esternamente ne presenta solo uno, quello centrale, decorato da archetti pensili appaiati nascenti da lesene: questo stile, molto diffuso, nel Nord Italia, risulta molto raro in Sicilia e Calabria, culturalmente molto distanti dall’area di diffusione del protoromanico. All’interno la Chiesa si presenta a un’unica navata, si può notare l’abside centrale prima citata, e quelle laterali, inglobate nella parete terminale dell’edificio. Orientate ad est, come tutte le chiese bizantine, le abisidi laterali erano usate una per la vestizione dei ministrie per la custodia dei vasi sacri e libri liturgici e l’altra per la preparazione delle offerte, anche questi elementi erano prevalenti nelle chiese di liturgia greca. Oltre a un arco trionfale che separa un vima (l’area riservata ai ministri nelle chiese bizantine) dal resto dell’edificio.

L’importanza di quest’opera monumentale sta nella sua sintesi tra arte araba e lo stile architettonico romeo, che trovano la loro unione nel gusto della nascente arte normanna. L’abbazia di Mili è la capostipite di una serie di chiese costruite sotto il dominio normanno in Sicilia e manifesto della loro tolleranza che nell’arte trova la più altra rappresentazione.

“l’importanza di questo singolare prezioso monumento, non sta solo nel fatto che esso presenta il primo esempio siciliano di ritmiche spartizioni ad archi interferentisi, ma soprattutto nel modo inedito secondo cui l’’ignoto architetto volle dare un assetto all’area contigua all’altare: una parete trasversale a interasse, come uno schermo, fra la navata e il muro orientale di fondo su cui s’incurva l’abside maggiore […]; due brevi archi trasversi tripartiscono questo embrionale transetto, ed uniscono l’arco trionfale a quella dell’abside creando così le basi su cui poggiano i tamburi ottagonali che sorreggono le cupole, il tamburo centrale raggiunge l’altezza delle cupole laterali”

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Note

-Roberto Romeo: Santa Maria in fluvio del Mili; il monachesimo orientale in Sicilia; Nicola Calabria Editorie, Messina 2012

-M. Bonasera – A. Manganaro,”Studio dell’abbazia basiliana S. Maria di Mili S. Pietro (ME)” pp. 22-23

-CENTRO TURISTICO GIOVANILE “LAG” (Mili San Pietro), Denuncia del grave stato di abbandono dell’Abbazia basiliana “Santa Maria di Mili” in Mili San Pietro (ME) – lettera di sensibilizzazione indirizzata al Presidente della Repubblica Italiana e a varie autorità, Mili San Pietro (ME), 28 settembre 2002

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